A Slice of Kurdistan
«Riflessioni dopo il primo viaggio ed incontro con la cultura curda, con una parte di un popolo soppresso da centinaia di anni, scoprendo luoghi e persone che continuano a tramandare segretamente un lascito millenario contro tutto quello che li circonda»
Vorrei scrivere riguardo ad un territorio. Una porzione di terra, fiumi, pianure e montagne. Potrebbe sembrare scontato, ma è un paese particolare. È una terra che non ha confini, non ha frontiere (proprie), non ha una lingua (che può essere parlata), non ha una cultura ( che può essere espressa).
Come ci si accorge, allora, di arrivarci se è un paese che NON è un paese? Capisci di esserci quando incontri quello sguardo nelle persone. Quel particolare sguardo di chi ha molto da raccontare, ha molto da dire ma si trova a dover tacere per sopravvivere.
Dal primo momento in cui abbiamo calpestato il territorio del KURDISTAN turco, ci siamo resi conto che la Turchia era lontana anni luce. In quasi un giorno di bus siamo stati catapultati in quello che è il più grande territorio di scontro geopolitico degli ultimi 10 anni. Quella Turchia che abbiamo vissuto, che adoriamo, che crediamo sia uno dei paesi più belli e interessanti al mondo da visitare si trasforma nel nemico oppressore di una cultura millennaria prima che, grazie a righelli inglesi venisse delineato quello che era l’Impero ottomano , dividendo per sempre un popolo e deliberando un altro ad avere l’egemonia, con la forza e la snervante propaganda politica che si trasforma facilmente in violenza. Un capitolo non nuovo ma sempre triste della storia della umanità.
Ma non di politica, ma proprio di umanità voglio scrivere. Credo profondamente che queste righe servano più a me che a voi lettori. La bellezza è indiscutibile. Una cultura che affiora e si attacca alle pareti, traspare nelle sue botteghe dei bazaar bui e nascosti.
Negli occhi delle persone che seduti nel piccolo chai shop ti osservano passare e con quel sorriso bonario vi danno il benvenuto. Appoggiati ai loro bastoni, incrociando le braccia, aspettando il tempo che inesorabile scorre tra le loro dita, ma che non li farà mai dimenticare le loro origini.
Ho avuto anche il malsano dubbio che le nuove generazioni siano già inglobate nel sistema turco, la scuola, il mondo che vedono e guardano con i loro smartphone, ma invece no. Durante una visita in una scuola ho sentito la forza di una generazione che può tutto; sognare e combattere nuovamente per riconquistare quella cultura che vivono a pieni polmoni con un orgoglio unico e che sono pronti a gridarlo al mondo. Soprattutto quando uno straniero si approccia a loro.
Il territorio che abbiamo avuto la fortuna di visitare è solo una piccola, minuscola porzione. Un minuscolo frammento ma è proprio qui che la discriminazione e il razzismo o più semplicemente, il seme dell’ODIO si insinua profondo. Ma questo aiuta. L’indifferenza e il sentirsi perseguitati è la loro arma e anche delle persone che visitano queste zone.
Vi lascio con un appunto di quanto avevo scritto nel momento di lasciare il KURDISTAN TURCO.
«Ci siamo lasciati alle spalle storie che vanno raccontate e momenti che non rimarranno perduti in foto ma che continueranno a viaggiare con me, sulla mia pelle, rivedendo gli sguardi di altre milioni di persone che nel mondo soffrono la stessa fame di ingiustizie e di consueto razzismo che provoca la paura del diverso. Rimango cosciente che non si cambia il mondo con delle parole ma mostrarlo provoca lo sdegno di quanto in basso l’essere umano possa cadere»










Se volete saperne di più vi potete cliccare qui, per conoscere il mio percorso in Kurdistan in salsa Vlog, con il canale YouTube di GetInSlow.
Invece due portfolio interessanti riguardanti la Turchia prima dell’erdoganizzazione e del tentativo di islamizzazione dello Stato li trovate qui, il primo uno sguardo a Istanbul e un secondo un portfolio paesaggistico riguardo la bellissima Cappadocia.