Lasciamo perdere quale incantevole magia si sprigiona nel ricevere lettere ,parole che si stampano indelebili ,assorbite dalla carta e pronte ad essere spedite chissà dove.. magia semplice e dimenticata, un po’ come la scrittura. Alla fine semplicemente non si scrive per qualcosa di speciale o per situazioni particolari, si scrive per la voglia di raccontarsi, descrivere momenti, sfoghi, attimi in cui ,attraverso una penna, non ci sente (perlomeno) troppo soli.
In casa tutto tace. Odore fermo di cani , loro che gli hanno fatto conoscere dove vive. Decide di uscire. Lasciare stare con i ricordi che dal passato quasi sempre, pian piano emergono da azzurre sabbie mobili. Continua a camminare per la via principale. Piscio, gatti , due parole anglosassoni e una cabina telefonica. Ci prova, del passato la traccia più evidente che non lascia scampo e che ritorna. Forse non sempre. Il presente è più forte . La fottuta tessera telefonica da cinque euro si è trasformata in una tessera telefonica di plastica .Niente di più. Segue il cammino, le vie di ciottoli, i rivoli d’acqua che scivolano e attraversano una piazzetta con una chiesa ,centinaia di voci che si mischiano; la attraversa osservando i vestiti colorati ,occhi truccati, seni arrampicati, chiappe trasparenti. La situazione attorno è quella di mille giornate andaluse. Il sole a picco che filtra tra gli alberi , trottano i cavalli nel parco, il loro ritmico scalpitio trasporta turisti a destra e a manca ; per il parco i click fotografici monotoni seguono come il vento il movimento delle palme .. voci di stirpe mora , foglie ,prato, formiche … silenzio sereno. Delle coppie camminano e lo osservano distratte ,troppa vicinanza nei loro cuori per capire come ci si sente quando si pensa al passato.
Frangenti in spruzzi d’acqua e caldi raggi ,vorrei che fossi qui ,magari per attimi che diventerebbero eterni, sfiorare tra pensieri e parole le nuvole che corrono .Una di queste nuvole forse tu, uno di questi momenti, magari il nostro , forse mai o c’è già stato? Salvarsi al respirare ,il tuo fiato con il mio in una danza di passione circondati dall’insano silenzio della mente, gli odori si confondono e nell’attimo ritrovarsi un’altra volta uniti ; ma è facile fantasticare ,un raggio mi acceca ,riecco lo scalpitio dei cavalli ,turisti ,vento e nuvole. Forse in una tu, forse mai.
Sa cosa fare stasera, puntare sul suo destino. Il passo è tranquillo rimane ascoltando come una vecchia radio in qualche casa coloniale i discorsi altrui ,sorridendo delle volte..altre meno. Aspettandosi finali o storie divertenti; ma le banalità hanno il sopravvento. Meglio una birra.
Supera la soglia , l’aria è di casa , il barista lo accoglie con quello sguardo di approvazione mentre con gesti rapidi sciacqua e spilla la sua prima cerveza della serata. Si incastra tra delle scale e una mezza panca che si trasforma nel suo tavolino mentre rolla il primo drum. Da lì si dovrebbero vedere le evoluzioni flamenque anche se pensa tra se e se che sarebbe piacevole solamente riuscire ad ascoltare la musica della chitarra che viene avvolta e sommersa dai risolini inglesi . Davanti a lui una ragazza con gesti semplici e metodici rolla una sigaretta, paziente, tentando di identificare le note che riescono a superare la coltre di fumo e chiacchiere. Il suo sguardo è assorto nel ritmo dato dalle mani della ballerina di flamenco ; grassa, mastodontica, a vederla per strada la scambieresti per uno scaricatore di porto di Tangeri , il viso bruciato dal sole , peluria alla Frida Kahlo, sembra nervosa per i sostenuti momenti di ricerca di un silenzio che in realtà poco importano anche a lei. Il battito di mani compulsivo in contro tempo rispetto alla ritmica della chitarra e il suo zapateo sprigiona i più caldi movimenti femminili rinchiusa nel suo vestito arancio e nero.
La ragazza segue il ritmo con i piedi ,i suoi occhi luccicano mentre divora la sigaretta, nuvole di fumo si alzano e la avvolgono, i suoi capelli lunghi ,spettinati ,raccolti ma senza forma nascondono occhi di giada. Non segue più la musica ,tutto la circonda ma niente la sfiora. Movimenti, sorrisi , parole, sguardi regalati al suo vicino di sedia ,ma non da importanza alle risposte e nemmeno a lui.
Lui si alza, scattante ordina un’altra birra senza nemmeno l’uso della parola, ormai basta lo sguardo e la sua caña è già pronta. Quando torna a guardarla lei è appallottolata nella sedia; gonna, maglione tutto la avvolge con armonia anche se lei non è troppo in armonia con quello che la circonda, il vocio stridente per dei monotoni bicchieri di tequila, ogni 5 minuti si ripropone la scena come in loop; con la comparsa di qualche ragazzo con lo sguardo da beone irlandese che trasporta, strascicando piedi e birre , degli attimi di celebrità al proprio tavolo. I movimenti attorno a lei la rendono un essere fiabesco, come una fata ,appoggiata sul suo giunco, rallentata ,guardando il pavimento e sbuffando nuvole di fumo. Lui si sente attratto, non sono sole le trasparenze che lasciano intravedere le forme sinuose del suo corpo, ma dallo sguardo ,triste, malinconico, sensuale, innocente, tocchi di pennellate caravaggiane che sorprendono illuminano, emozionano. Sorso di birra . In piedi ; tre passi e si siede davanti a lei . La osserva meglio , ora che si è avvicinato si rende conto che i suoi occhi felini continuano a squadrarlo. Sono occhi turbati, hanno bisogno di serenità , prova a farla sorridere, farla sentire a suo agio. Ma i suoi gesti sono veloci imprendibili ,continua a spostarsi i capelli che come da copione ricadono implacabili sul viso. Nei particolari che scorge ,smorfie del viso quando sorride e piccoli impercettibili movimenti istintivi, ne manca uno di vitale importanza per lui..il suo odore; elemento apparentemente superficiale ma di una tale profondità emotiva ,pronto a poter far cambiare tutte le altre percezioni. Sarebbe arrivato anche quell’ultimo elemento poco dopo a completare il quadro e a dare forza al proprio istinto.
Giorni dopo, seduti in una piccola teteria nel barrio Santa Cruz luminosi in un luogo poco illuminato. Il caldo del suo sorriso l’apparenza agli occhi era che nulla la scalfiva, quello che toccava prendeva vita. Si sono ritrovati e con loro anche quel minuzioso particolare a cui lui dava un ‘importanza fondamentale. L’odore, caldo, piacevole ; un mix tra lenzuola lavate e sole lo avvolse. “Farfalle” pensò. E così lei si dirigeva verso il bagno, volteggiando con la sua gonna che lasciava strascichi dei suoi sorrisi attaccati alle pareti . Quel giorno parlarono 4 ore senza interrompere l’uno l’altra. Avvolti dalle conseguenze delle loro parole ,dei sogni ,le paure , le note tanto lontane che non riescono a cancellare dalla mente, gli amori persi nel cammino. Mangiando drum e bevendo the ,con la mente volando, volando al di là di tutto su picchi tibetani assaporando venti orientali, canti, fuochi, dipinti e musiche , l’uno nello sguardo dell’altra mentre tutto scorreva.
Quella notte la bruma era pronta dietro gli angoli ad accogliere la città, le sue case, i vicoli più nascosti ,la cattedrale..rendendo tutto solenne e stupendo. Rossa la Giralda come rossa e mangiata dal sole la bicicletta che sfrecciava tra sguardi, mani, braccia ,brindisi veloci, baci rubati, loro rapidi e imperturbabili tra le vie della città sicuri vivi pedalando con forza. I ciottoli della strada scorrono mentre il vento prima nemico ora li accompagna districandoli e facendogli evitare buche e tombini ,qualche spruzzo d’acqua sale nebulizzato e si perde luccicando nella notte. Si ferma il il suo “cavallo di metallo, lei scende e sorride. Labbra e guancia ,destra e sinistra. Lei si allontana ,lui riassapora quei momenti guardando verso l’alto le case e le vie strette che fanno da cornice alla notte mentre riprende a pedalare verso casa .
“Dove sei? In quale parte ti nascondi da me? Dove vorresti essere e perché non sei lì? Mi hai schiacciato per tanto tempo, io ero sempre stato lì ad aspettare e ora sono uscito. Sono venuto fuori. È bastata una vibrazione. Delicata, mi ha ridato vita, ridato la forza di uscire fuori ancora. Prenderemo la vita per i fianchi ,già. Solo sei riuscito da quelle sabbie mobili, che ti trascinarono in basso ,bloccato. Sentivi il peso delle catene? Facile metterle, difficile riuscire a liberarsi. Non più ora. Ora sappiamo dove andremo. Lo sai e l’hai sempre saputo., non perderlo. Io ora non dormo , sveglio attento e pronto. Andiamo basta rimanere attaccati al bordo . tantomeno trascinati dalla corrente ma fermo e cauto verso la meta. Tranquillo. Respira. Usciamo insieme dal tunnel , lo sento anch’io ,sono attorno, i poveri e i miserabili di ogni genere ti vogliono fermare, placcare, ma io rimango qui. Tu esci ,cerca ,saprai cosa quando lo vedrai cosa. Prendi ,vola. Il tuo aereo è decollato ,ora inizia a volare tu piccolo. Io ti aiuterò. D’ora in poi vivi i tuoi attimi ; del resto lo hai fatto per poco ma sempre ti hanno dato grandi frutti! Ora tocca a te, a noi. Ci siamo rivisti come succede con i vecchi amici dopo molto tempo. Nulla cambia. Dove sei? Io lo so. E ora nn ti mollo… sono qui.”
«Nell’intricata rete di ricordi e pensieri immagino di nuotare verso di te per poterti raggiungere, abbracciare, sfiorare le labbra un’altra volta…». Adesso il bip del suo orologio è estenuante mentre continua a lavare bicchieri di persone economicamente migliori di lui, quando nessuno lo nota si avvicina il bicchiere alla bocca e beve quello che rimane, mischia e si sente erroneamente vivo. Aspettando di rincontrarsi , di sfiorarsi nuovamente, di lasciarsi trasportare dall’istinto ancora ed ancora.
Era fermo al solito bar, il barista continuava a riempire un piattino da caffè con olive, il liquido salmastro si perdeva nel breve percorso lasciando gocce viscide sul bancone liso dal tempo, stanco e segnato ; distrattamente legge l’importo scritto con un gessetto sul bancone, “solo alla seconda birra.”,pensa e soddisfatto ingurgita il suo succo di malto. La televisione attira come un dipinto tutti i presenti, la partita del Betis, non è delle migliori, ma i movimenti del pallone della squadra di casa ipnotizzano tutti, lui compreso; catturato dal ritmo del gioco e dal goal segnato dalla formazione in bianco- verde. Un po’ di sole filtra dal tetto della casa di fronte e la vede; o almeno ,pensa di vederla. Passa velocissima, schivando persone, non ne è sicuro ma si catapulta fuori dal bar, prova a chiamarla ma non lo sente; i capelli lasciati liberi danzano, il suo passo veloce e impercettibile ad occhio umano. Stranamente era apparsa e stranamente scompare; scorrendo con la mente le possibilità che quello che abbia visto sia solo frutto della sua fantasia o resoconti di fotogrammi di film felliniani perché proprio come la ragazza della fonte ,lei prende e scansa via i pensieri, le paure, i dolori umani ,c’è solo lei, che non parla ,ma in quel silenzio nasconde luce . Stacco pubblicitario. Si appoggia di nuovo al banco. Tutto torna alla normalità, pareggio della squadra avversaria e soliti insulti contro la squadra locale ,è tornato a Sevilla. Era stato un bel pomeriggio, l’ultima volta che si incontrarono.
Attorno le cinque di pomeriggio l’aria ha qualcosa di speciale , non fa né caldo né freddo ,tutto è perfetto, le poche rondini rimaste volano creando cerchi nel cielo cinguettando, la mela che stringe in mano ,rossa ,luccica ad ogni morso creando un po’ di invidia tra i passanti ;ed orgoglio per quella mela naturalmente. Si erano dati appuntamento davanti ad un bar in calle Feria. Due chiacchiere ,uno dei soliti incontri pomeridiani che piacciono ad entrambi davanti a una birra ,un the, e i soliti kili di tabacco. Il locale con ampie vetrate rendeva l’ambiente molto luminoso ,i piccoli tavolini e le seggiole in legno davano l’impressione di abbandonato e decadente, al muro erano appese foto di un viaggio in India, santoni e bambini guardavano appesi alla parete i vari commensali dei vari tavoli divorare tapas o scolarsi birre, il mix tra sguardi severi e sorrisi che scivolavano dai muri verso i clienti del bar rendevano il tutto bohemien . Ordinarono da bere e si sedettero in un tavolino anonimo. Era tempo che non si vedevano, almeno un paio di settimane. Si sentirono in dovere di raccontarsi le vicende di quei giorni, gli stati d’animo i sogni che si erano accavallati , i vari pensieri che erano scaturiti, parlarono per un paio d’ore prima di chiedersi come vedevano il loro rapporto, di come si sentivano uno con l’altra, di come si cercavano ma come poi tutto svaniva ;tutti e due si erano resi conto di una cosa profonda in quel piccolo bar ,mentre ormai il sole stava scendendo e le luci venivano gradualmente accese ,il che rendeva l’atmosfera ancora più surreale. I loro occhi si fissarono, entrambi sapevano. Ma è difficile dire ciò che non si vorrebbe sentire.
“ E se stessimo sbagliando? Mi guardi ed io sto cadendo .Quelle tue parole…le stesse parole che non avrei mai pronunciato, ma che fondamentalmente fanno parte di noi due, quelle parole che solo chiudono cancelli di freddo bronzo”, pensò mentre osservava la sua inquietudine..il fumo la avvolgeva, anche se aveva deciso di non fumare più, le mani si muovevano velocemente giocherellando con l’accendino, ma con gli sguardi si erano capiti. Nient’altro che loro due ,le mani si strinsero. Sapevano che si erano incontrati, come in una favola ma che per loro due non c’era niente da fare, le anime libere non si possono rinchiudere ,non ora. Non adesso. Non qui. Gli occhi divennero fango ma la consapevolezza era più forte. Si adoravano ,ma non potevano ,si volevano stringere ma non potevano. Non potevano mentire a loro stessi . e lei lo disse : “ Non possiamo, non è questo il momento”. “Non posso nemmeno io” disse lui. Si erano salutate, le loro anime. Così. E sopra di loro i santoni erano ovattati dai giochi d’ombra ,scavalcati dal brusio dei clienti, dai brindisi, due anime che si allontanarono, sapendo che si sarebbe incontrate in un altro modo, in un altro luogo, dove tutto potrà accadere. Ma era impossibile non pensarsi o sentirsi tramite messaggio o qualche telefonata rubata da qualche cabina telefonica soprattutto in quei stupendi pomeriggi di aprile.
Girovagava tra gli edifici del suo quartiere che incastonano il cielo sevillano in piccoli quadri, ornamentati da tegole e azulejos . In qualche angolo la poteva scorgere ;attraverso le vetrine dei bar, riflessa in quei cristalli macchiati dalle piccole dita dei bambini ,impercettibili ad occhio nudo, ma bastava un raggio di sole per poter vedere quei minuscoli segni e rendere un sogno quella visione della mente. Di repente ,come di sfuggita donne che per un qualsiasi particolare le ricordavano qualcosa di lei, un sorriso uno sguardo. Un episodio che lo lasciò sconcertato accadde qualche giorno prima .
Tranquillamente seduto in un bar, potè scorgere da dietro il bancone una cameriera ; non riuscì guardarla in viso, ma per i particolari che osservò le sembrava di poter trovare minime sfumature, ormai perse in ricordo. Non credette più alla dolce favola ,alle dolci parole che risuonavano nella sua testa, era un lupo solitario, avrebbe potuto continuare a regalare amore ad amanti, concubine ma difficilmente l’amore vero, difficilmente provare ancora con quell’amore che con un tuffo al cuore ti fa perdere la testa. No mai. Non lo promise a se stesso ,non ci riuscì ma capì che era un’idea da non scartare a priori. Almeno fino a quella telefonata qualche giorno più tardi.
Giornata uggiosa, pioveva copiosamente, il cielo coperto lui immobile prima di entrare nel locale dove lei lo aspettava .Si lasciò scivolare qualche goccia di pioggia sul viso perché lavassero via la tristezza fin troppo evidente . In quel momento difficile farsi scivolare via tutte quelle cose, non bastava quella pioggia, fredda e fitta; quella pioggia che sembrava assorbire la totale malinconia di quella piccola strada, Santa Rufina ,il nome della calle; con le sue donne di mestiere, sedute sulla soglia delle porte da dove si possono scorgere i letti dove viene venduto il loro amore e loro su vecchie sedie logore dalle intemperie. Loro ,truccate come vecchi clown parlando tra di loro, mentre il trucco si spargeva sui loro visi per la pioggia e l’umidità gonfiava le chiome circensi di zucchero filato. Aspettavano, che la pioggia smettesse, aspettavano amore, un amore in vendita ma pur sempre amore, amore di matrone di origini gitane e marinare nei loro vestiti traboccanti e lisi come i loro sessi stanchi. Girò lo sguardo, si asciugò con la manica il viso ed entrò nel piccolo barettino. A passo tuonante verso quel piccolo tavolo dove lei era seduta, si sentì come un cavaliere medievale, voleva proteggerla dando se stesso ;si immaginò con le spalle al muro brandendo una piccola daga che fendeva davanti in maniera che il dolore non potesse avvicinare quel suo piccolo tesoro ,lei dietro le sue spalle con gli occhi chiusi per non poter vedere quel dolore da cui si stava facendo inghiottire, quel nulla ,nero cupo come nuvole cariche che la stavano circondando.Questo provò vedendola lì seduta in mezzo a voci e risa, il rumore della pioggia fuori si fece più insistente , una cadenza funebre. Illuminata dallo schermo del suo piccolo portatile, la luce azzurra dello schermo gli illuminava il viso e vide i suoi occhi gonfi di lacrime, qualcosa dall’esterno l’aveva già colpita e aveva fatto male. Il passato come una lama l’aveva trafitta parte a parte lasciando segni, cicatrici intangibili ma ben più profondi; da quelle ferite sgorgava il suo dolore come un fiume in piena di invisibile sangue che a fiotti cadeva sul tavolino. Necessitava di molte cose, aveva bisogno di un ultimo abbraccio, aveva bisogno di un amico che la potesse aiutare ,risvegliarla da quel torpore che ormai da troppo tempo la circondava ,la schiacciava ,la rendeva vulnerabile in quelle ultime settimane di aprile; l’irrimediabile destino di lasciarsi trascinare verso il basso, affogare in quel pantano in cui non riusciva sola a trovare una via d’uscita.
Si appoggiò sulle nocche , avvicinò la seggiola e la strinse più che poteva, come una sveglia, cancellarle il torpore, appoggiandosi alla sua spalla potè sentire il battito del suo cuore che finalmente rallentava, prendeva tempo al tempo. Sfiorò il suo male e se ne appropriò ,lo fece suo ,pugnalate che accettò di buon grado. Accettare quando non è facile accettare nulla, quando non è semplice capire cosa si prova ad appoggiarsi ad una spalla amica, capire cosa significava tutto questo per loro due, una spalla e piangere ,aprirsie dover andarsene ,lui capì. Sistemare cose che aveva lasciato in sospeso in altri parti del mondo, prendere e andare, contro se stessa soprattutto, ogni lacrima nascondeva momenti passati, desideri che si sarebbero cancellati nell’istante che sfiorassero il pavimento. Iniziarono a parlarsi con gli occhi e con le dita, sfiorandosi,accarezzandosi, sapendo che tutto quello che si stavano dicendo sarebbe stato per l’ultima volta, sapendo che non si dimenticheranno mai di quei momenti. Non si dimenticheranno mai uno dell’altra.
Lacrime si sono perse sotto il letto, circondati dai sogni, desideri e speranze, un materasso pregno di quei due mesi vissuti con lei, immerso in speranza per un futuro di istinti, e ricerche. Lui era sdraiato mentre il canto roco di Eddie Wedder salmodiava con insistenza; il mix tra la voce e gli arpeggi della chitarra trasportava tutto con vivida coscienza al di là di quelle quattro pareti. In quell’atmosfera gli sembrò che la fiamma della candela iniziò a vibrare. Ombre scure iniziarono a danzare sui muri ,sugli oggetti e sui mobili. Venne avvolto in un sogno, un deya vu talmente vivido e reale, un luogo che conosceva perfettamente ma nel quale non era mai stato. In lontananza si delinearono delle montagne alte e antiche come il mondo stesso, che piano si avvicinarono, poteva vedere i sentieri come letti di fiumi secchi, riposando in un mar silenzioso di sabbia e rocce, sentieri creati da milionari passi di uomini eterni ,le pietre che scavalcavano il cielo innalzandosi a ritmo del canto di donne in lontananza, copla di anime che si muovevano nell’aria, parole incomprensibili che si alzavano ed abbassavano, tra quelle parole millenarie, una tra tutte. Zahir rieccheggiò nella sua mente. Si alzò di scatto e la scrisse su un piccolo foglio di carta e lo infilò nei suoi pantaloni.
Il suo significato aveva altro. Era una parola tanto profonda, intrinseca in questo momento della sua vita con quell’anima che si stava allontanando da lui ,l’aveva già sentita, letta in libri, ma mai fatta sua come in quel momento.
Si alzò dal letto, la candela ormai consumata fece colare cera rossa sul pavimento della stanza, fissò quelle gocce che si solidificavano sul pavimento, la fiamma in un filo di fumo scomparve, il suo respiro tornò ad essere regolare a differenza del ritmo tribale con cui sospirava prima e che aveva aiutato a trasportarlo sopra quelle montagne ,quei pochi secondi in realtà erano stati minuti accavallati e contratti dalla mente e dal ricordo extra-corporale. Doveva dirle quella parola. Sapeva che doveva farlo. Correre da lei e dirle quella cosa, quell’ultimo segreto che li legava nascosto in vite passate. Si infilò le scarpe, prese il mazzo di chiavi e si lanciò verso la strada. La città era semivuota, la Feria de Primavera aveva attirato la popolazione di Sevilla in un altro lato della città, iniziò a pedalare con forza, la macchia rossa di quella vecchia bicicletta fendeva l’aria schivando auto e i pois dei vestiti di flamenco, schivando i suoi pensieri, agendo con quell’istinto di sopravvivenza ,quell’istinto d’amore che non aveva mai provato, correndo incontro ad un destino tanto crudele quanto necessario per tutti e due. Passò veloce sotto la Giralda che lo osservò come si osserva un film con un finale a sorpresa.
Entrò di soprassalto nella stazione degli autobus quasi deserta ,gli addii riempivano l’aria ed iniziò a cercare tra mille finestrini tutti uguali, cercò di scorgerla finchè la vide in lontananza, appoggiata al vetro di un vecchio autobus Alsa ; il suo sguardo perso nel vuoto, i capelli lasciati sciolti e il foulard viola bruciato dal sole le avvolgevano il viso. Nel vederla così bella ,così piena di sé e così triste non potè trattenere una piccola lacrima che gli scivolò lungo il viso, infilò una mano in tasca e trovò quel piccolo pezzo di carta sgualcito su cui aveva scritto solo pochi minuti prima quella parola apparsa tra le nebbie dei ricordi di quelle montagne. Si avvicinò e schiaccio il foglio sul vetro che li divideva. Lei lo lesse e in quel momento il tempo si blocco, quelle montagne riapparvero negli sguardi dei due, quelle montagne che li avevano uniti forse secoli prima, i loro respiri si sbloccarono ,risvegliati dal tremolio dell’autobus che stava per partire, che stava per allontanarla da quella città che non aveva più niente da dare, che creava dolore, quella città che l’aveva accolta anni addietro e che ora per lei rappresentava solo una gabbia. Lei appoggiò la mano sul vetro, su quel foglio di carta, come se lo volesse stringere mentre le sue labbra iniziarono a schiudersi dopo quegli attimi di silenzio, sfociarono parole come scintille ,scintille che si spegnevano rimbalzando sopra il cristallo del finestrino : “Prima che mi imbarchi tra tutti sei il più prezioso dei miei diamanti, prima che mi imbarchi tra tutti sei il più prezioso dei miei diamanti..”. L’autobus si mosse, lentamente lui si scostò ,lei iniziò a sentirsi libera finalmente dopo tempo, libera da quelle catene che Sevilla aveva relegato, libera e triste, edotta che quel ragazzo che la ha appoggiata non sarebbe scomparso ma in qualche maniera sarebbe ricomparso nella sua vita.
“ Bisogna essere veri, cosa pensi? Che sia tanto semplice ,io ho fatto una domanda ma tu non hai risposto ,hai rigirato le parole come dita nella sabbia, filosofeggiando col nulla.. semplice? Niente è facile in questo mondo. Io volevo solo una cosa , che tu sia il più sincero possibile con me, sono stanca. Devo pensare in me. Devo stare con me, sono stufa di pensare agli altri e per gli altri”. “.. l’ho sentito.. il contrappasso dantesco coinvolge spirito e corpo . Mi uccide, mi schiaccia ma ti capisco..sto girando anche io in questo grande turbine..semplice? non so cosa sia, è sempre stato tutto così difficile per me ..sono lontani anni luce quei giorni a Sevilla .”
Un piccolo bigliettino rosa . era sotto la porta dell ingresso di casa. Sgualcito ma scritto in buona calligrafia; non lo aveva notato uscendo, scritto a pugno, velocemente, l’aveva lasciato lì qualcuno e quel qualcuno non c’era più. Era rimasto solo quello stupido biglietto rosa che lo guardava fisso ,una lama davanti ai suoi occhi , lui sapeva che ad ogni parola ,centimetro dopo centimetro la fredda punta sarebbe entrata nel suo petto fino a trafiggerlo. Trovò le forze per sollevarsi. Si accarezzò il viso e sistemò i capelli, sapeva che era un addio. Voleva essere il più presentabile possibile per soffrire.
Si sdraiò sul letto e lo lesse. Le parole recitavano più o meno così:
“Un bacio
cuidate
y tranquii
aprendè a transitar
en ese sitio
por algo estas alli no lo olvides
po’ mas duro que lo sientes
es el momento de sacar armas
el tiempo cura
y es tiempo de eso.
No lo largues. Sanalo.
Sanalo.
Aprovecha de el tiempo. Y no dejes pasar a las oportunidades mira las señales como algunas vez me has dicho a mi. Lo que te causa rechazo, miralo aun mas de cerca. Besos».